Il metaprogetto

L’intero percorso è influenzato da come io ho sempre “vissuto” la Rete, ispirato da un concetto che è tanto semplice quanto impressionante nella sua evidenza (troppo spesso dimenticata, talvolta volutamente). L’idea che definisce gli elementi fondamentali del progetto e ne ha fornito le basi per la realizzazione fin dagli albori, prima ancora che assumesse la forma attuale, accoglie appieno quanto ebbe a dire uno dei Padri della Rete…

« The internet is a reflection of our society
and that mirror is going to be reflecting what we see.
If we do not like what we see in that mirror
the problem is not to fix the mirror, we have to fix society. »
Vinton Cerf (“What the net did next”, 2004)

Viviamo un’era che ci offre una tecnologia sempre più potente e pervasiva quale Internet, in continua evoluzione verso obiettivi che difficilmente riusciamo ad immaginare, ed ancor meno a focalizzare. Eppure, dotati di uno strumento così rilevante da racchiudere ogni grado di conoscenza e comunicazione, tendiamo forse a dimenticare che si tratta comunque di uno strumento nelle nostre mani giacché è l’uomo che lo realizza e lo governa, e come ogni strumento va conosciuto per essere usato bene, dunque è fondamentale una corretta e specifica formazione. Trattandosi, poi, di uno strumento dalle enormi potenzialità e completamente compenetrato nella moderna realtà umana, ecco che tale formazione non deve limitarsi a mere “istruzioni d’uso”, bensì appoggiarsi (e affiancarsi) ad un’offerta educativa votata alla trasmissione dei principi etici e morali che la nostra società sembra voler ignorare, malauguratamente.

Parlando di formazione, non voglio qui enunciare le innumerevoli e pregnanti motivazioni che la rendono indispensabile, ne’ i fondamentali risultati di un costante e continuo aggiornamento – tecnologico e sociale – di qualsiasi componente della nostra società, a qualsiasi livello egli interagisca con gli altri ed in qualsiasi ambito egli si trovi ad operare. Non solo non è questa la sede opportuna, ma correrei il (grave) rischio di ripetere argomentazioni troppe volte ascoltate, il più delle volte sinceramente condivise (anche se spesso l’attività conseguente si limita all’intenzione); probabilmente le mie parole potrebbero essere interpretate come una dissertazione fondata sulla percezione di innegabili necessità, fino a poter sembrare esito di troppo facile demagogia. Qui mi limiterò ad esporre i soli cardini dell’impianto (in)formativo che sono alla base delle mie proposte.

Non serve a nulla demonizzare la tecnologia, addossando al progresso tecnologico le colpe di ogni attività umana i cui risultati siano improduttivi, negativi o addirittura illeciti. Un atteggiamento responsabile e democratico ci impone di offrire la massima libertà (anzi: la totale libertà) a condizione di rispettare le regole civili e non ledere la libertà altrui. Sappiamo bene che tale approccio – giusto, corretto, etico ed oggi assolutamente imprescrivibile – offre spazio anche a chi ne fa cattivo uso.

Per far fronte ad ogni attività negativa, o potenzialmente tale, i Padri insegnano (e l’esperienza conferma) che esistono infiniti approcci, tuttavia riconducibili a due sole linee di pensiero: imporre oppure educare.

Se “imporre” (vietando oppure costringendo) può sembrare più semplice e più rapido, i risultati nel tempo sono inconsistenti quando non opposti alle attese: il giusto desiderio di autonomia critica può tramutarsi – se costretto – in una frenetica ricerca di quanto vietato (oppure nel totale rifiuto di quanto imposto), fino a raggiungere comportamenti irragionevoli, talvolta compulsivi, al limite illegali.

Ascoltando Voltaire, « Bisogna aver rinunciato al buon senso per non convenire che non conosciamo nulla se non attraverso l’esperienza ». Certamente l’esperienza diretta è l’arma migliore, talvolta l’unica, per arrivare alla conoscenza. Quindi non possiamo ne’ vogliamo evitare – o far evitare ad altri – un’attività perché è potenzialmente pericolosa, cioè reca in sé anche i germi di un risvolto malevolo (ma quale attività umana ne è immune?).

“Educare”, nel senso più letterale del termine, “conduce fuori”, libera qualcosa che è nascosto. Non si tratta di pura istruzione, con la quale si forniscono all’individuo le tecniche e le pratiche di una disciplina: si tratta di favorire la comprensione autonoma da parte dei discenti, instaurando con loro un dialogo esplorativo e stimolando la loro creatività nell’apprendimento.

Riassumendo: imporre è inutile quando non controproducente; non possiamo ne’ vogliamo evitare l’esperienza come mezzo di conoscenza; educare non è solo rivelare la tecnica del fare, quanto orientare verso un’indipendente cognizione.

Non ci sono altre possibilità: una corretta educazione offre il migliore strumento di cui l’uomo libero può disporre per sviluppare l’autonomia critica posta alla base di ogni sua scelta, e questo strumento altro non è che la consapevolezza, consapevolezza di saper fare, ma prima ancora consapevolezza delle proprie capacità di imparare a fare.

Questa consapevolezza matura solo con l’esperienza. Ma può essere originata, poi sostenuta e indirizzata, infine fortificata, da una formazione attenta e continua, tesa all’abolizione delle barriere che ostacolano un sereno rapporto con la materia di studio o di apprendimento. Nessuna paura, solo entusiasmo. E l’entusiasmo nasce solo dalla competenza.

 

 

 

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